LA GARA REGINA DELLA CORSA NELL'ANTICHITÀ: I 200 METRI

Alle Olimpiadi moderne, la gara di corsa di velocità, i 100 metri piani, è la competizione regina dell'atletica leggera, quella che attrae l'attenzione di milioni di persone e uno dei simboli stessi delle Olimpiadi. Nel mondo antico vi era una gara simile, giudicata la più importante dei giochi olimpici del mondo classico, ed era lo stadio, i 200 metri piani di corsa in velocità, simile per dinamica all'attuale 100 metri. Il nome della gara, stadio, in greco stadion, deriva da una misura di lunghezza, lo stadion, che ad Olimpia è possibile ancor oggi misurare in circa 192,27 m, equivalente all'incirca alla gara contemporanea dei 200 metri di velocità, ma senza la curva che contraddistingue l'evento attuale. In antichità, era una gara su pista rettilinea.
Gli atleti correvano in modo simile a quelli attuali, come ci ricorda Filostrato nella sua Sull'atletica: "I corridori dello stadio... per ottenere un ritmo di corsa veloce, muovono le gambe con il supporto delle mani, come se fossero sollevate in volo..." La lunghezza della pista era fissata convenzionalmente in 600 piedi, secondo il mito di Eracle, uno dei fondatori dei giochi atletici, ma l’unità di misura variava da città a città: a Delfi e ad Atene uno stadio misurava 177,50 m, ad Epidauro 181,30 m, a Pergamo 210 m. Secondo le cronologie giunte fino a noi, lo stadio fu introdotto nella prima Olimpiade, nel 776 a.C.

Lo sprint vedeva la partecipazione di 12-20 atleti, avveniva a piedi nudi, sulla sabbia, su un tracciato segnato, e resta l’unica gara di ciascuna Olimpiade per la quale sia stato tramandato il nome del vincitore. Siamo in possesso dei dati relativi ai vincitori di quasi tutte le 255 edizioni; più di un millennio di gare, dal primo vincitore, Corebo nel 776 a.C., fino all’ultimo riportato, Dionisio di Alessandria, nel 269 d.C.
Il primo a vincere due Olimpiadi in questa specialità fu l’ateniese Pantacle nel 696 e nel 692 a.C.; tra i triasti (triastes in greco: colui che riporta tre successi consecutivi), vanno citati lo spartano Chione, Astilo di Crotone, poi cittadino di Siracusa, e Crissone di Imera, colonia siciliana.
Ma solo Leonida di Rodi fu capace, tra il 164 e il 152 a.C., di affermarsi per ben 4 volte consecutive, diventando una vera e propria leggenda, vincendo l’ultima Olimpiade quando aveva 36 anni.
Gli antichi corridori si allenavano duramente nel ginnasio per arrivare, dopo essere stati selezionati, a contendersi il primo posto ad Olimpia.

Filostrato nella sua trattazione Sull'atletica ci informa sulle caratteristiche di uno sprint dello stadio: "I corridori dello stadio, la più leggera tra le competizioni, sono i più forti e i meglio proporzionati atleti. Tuttavia, i migliori tra questi sono quelli che non sono troppo alti, ma sono poco più alti della misura normale; infatti, l'eccessiva altezza ostacola la resistenza, come accade per le piante che crescono troppo alte. Siano robusti: infatti, il presupposto per poter correre bene è essere ben saldi. Abbiano questa armonia: le gambe siano proporzionate alle spalle, il torace più piccolo della misura normale sia provvisto di sani organi interni, il femore snello, la tibia dritta, le mani più lunghe della norma; abbiano anche una muscolatura equilibrata: infatti, i muscoli in eccesso ostacolano la velocità." Alla partenza dello stadio antico, gli atleti venivano allineati lungo una lastra di pietra, indicata come balbis, che definiva la linea di partenza, solcata da due scanalature parallele dove gli atleti infilavano l'alluce del piede destro arretrato nel solco retrostante e quello del piede sinistro nel più anteriore, in posizione del corpo quasi verticale, anche se alcuni vasi del V-IV secolo rappresentano la posizione in parte piegata, inginocchiata, usata attualmente nelle gare di sprint dell'atletica leggera.

In antichità, vi era un meccanismo indicato in greco come hysplex, una specie di blocco di partenza, basato su una piccola barriera di legno, una sorta di catapulta introdotta agli inizi del V secolo a.C. (il principio fu preso proprio dall'invenzione militare della catapulta, avvenuta in quel periodo), posta davanti a ogni corridore; tramite un sistema di corde, il giudice azionava il dispositivo, che faceva abbassare rapidamente, nel momento della partenza, l'ostacolo artificiale, permettendo una reazione rapida dell'atleta nello scattare e iniziare la corsa. La falsa partenza era punita con una breve fustigazione. Alla fine della pista vi era un'altra lastra di pietra, un balbis finale, che doveva essere raggiunta, dichiarando vincitore il primo che la avrebbe toccata, sfiorata o attraversata. La parte finale della pista, nell'antica Olimpia, terminava di fronte all'altare di Zeus, il santuario più famoso del mondo antico, che indicava la connessione tra religione e atletismo, fulcro del paganesimo ellenico.

Anfore panatenaiche (nell'antichità venivano riempite di olio d'oliva e assegnate come premio ai vincitori), con decorazioni a figure nere raffiguranti gare di velocità del famoso stadio, datate al VI secolo a.C. Metropolitan Museum of Art di New York.

Anfore panatenaiche (nell'antichità venivano riempite di olio d'oliva e assegnate come premio ai vincitori), con decorazioni a figure nere raffiguranti gare di velocità del famoso stadio, datate al VI secolo a.C. Museo del Louvre, Parigi.

Anfore panatenaiche (nell'antichità venivano riempite di olio d'oliva e assegnate come premio ai vincitori), con decorazioni a figure nere raffiguranti gare di velocità del famoso stadio, datate al VI secolo a.C. Staatliche Antikensammlungen di Monaco di Baviera.