ULISSE, IL CANTO DELLE SIRENE, LA MEMORIA E LA CONOSCENZA

Nel libro XII dell'Odissea, Omero narra dell'episodio in cui Ulisse e i suoi compagni passano vicino alle Sirene. Ulisse, noto anche come Odisseo in greco, nel suo viaggio nel Mediterraneo non può sfuggire alla sua sorte: il canto pericoloso delle Sirene è uno dei molteplici eventi del viaggio dell'eroe. Omero descrive le sirene come incantatrici di uomini che vivono su un'isola vicino ai mostri marini Scilla e Cariddi. Con la loro voce, attirano gli uomini, che, incauti, si lasciano sedurre dal piacere dell'ascolto e finiscono per fermare la navigazione, cadendo in un torpore che li porta alla morte. Tuttavia, l'eroe e i suoi compagni, avvertiti in anticipo dalla maga Circe sulle precauzioni da prendere per evitare l'incantesimo, riescono a superare il pericolo senza danni. Odisseo riempie le orecchie dei compagni di cera ammorbidita, mentre lui, spinto dalla curiosità, decide di ascoltare il canto delle sirene, facendosi prima legare saldamente all'albero maestro della nave. La voce delle sirene è così irresistibile da farlo dimenare con furia e implorare i compagni di liberarlo, ma, con le orecchie tappate, non possono sentire le sue grida. Quando il canto si spegne lentamente, Odisseo si riprende e, vedendo i resti dei marinai sulla terra che non hanno resistito al canto delle Sirene, sparsi sulle coste dell'isola, si rende conto del terribile pericolo evitato.

Ecco i due passi dell'Odissea, libro XII, della Fondazione Lorenzo Valla che raccontano l'avvertimento della maga Circe e il passaggio tra le sirene.

36-58 libro XII
«Mi parlò allora con queste parole Circe possente:
"E così tutto questo è compiuto. Tu però ascolta
e fa' come io ti dirò: te lo ricorderà anche un dio.
Tu arriverai, prima, dalle Sirene, che tutti
gli uomini incantano, chi arriva da loro.
A colui che ignaro s'accosta e ascolta la voce
delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini
gli sono vicini, felici che a casa è tornato,
ma le Sirene lo incantano col limpido canto,
adagiate sul prato: intorno è un gran mucchio di ossa
di uomini putridi, con la pelle che si raggrinza.
Perciò passa oltre: sulle orecchie ai compagni impasta
e spalma dolcissima cera, che nessuno degli altri
le senta. Tu ascolta pure, se vuoi:
mani e piedi ti leghino nella nave veloce
ritto sulla scassa dell'albero, ad esso sian strette le funi,
perché possa udire la voce delle Sirene e goderne.
Se tu scongiuri i compagni e comandi di scioglierti,
allora dovranno legarti con funi più numerose.
Dopoché i compagni avranno remato oltre quelle,
non ti dirò da quel punto per filo e per segno
quale sarà la tua rotta: consigliati
tu nel tuo animo, io te le dico ambedue


153-202 libro XII
«Dall'Allora col cuore angosciato io dissi ai compagni:
"O cari, non devono saperle uno o due soli
le predizioni che Circe mi disse, chiara fra le dee,
ma io voglio dirvele, perché conosciutele o noi moriamo
o scampiamo, schivando la morte e il destino.
Anzitutto ci esorta a fuggire il canto
e il prato fiorito delle divine Sirene.
Esortava che ne udissi io solo la voce. Legatemi dunque
in un nodo difficile, perché li resti saldo,
ritto sulla scassa dell'albero: ad esso sian strette le funi.
Se vi scongiuro e comando di sciogliermi,
allora dovete legarmi con funi più numerose".
Dicendo cosi io spiegavo ogni cosa ai compagni:
intanto la solida nave rapidamente arrivò
all'isola delle Sirene: la spingeva un vento propizio.
Subito dopo il vento cessò, successe una calma
senza bava di vento, un dio assopiva le onde.
I compagni, levatisi e piegate le vele,
le deposero nella nave ben cava e postisi
ai remi imbiancavano l'acqua con gli abeti piallati.
lo invece, tagliato col bronzo aguzzo un grande
disco di cera a pezzetti, li premevo con le mani robuste.
Subito la cera cedette, sollecitata dalla gran forza
e dal raggio del Sole, del signore Iperionide:
la spalmai sulle orecchie a tutti i compagni, uno a uno.
Essi poi mi legarono per le mani ed i piedi
ritto sulla scassa dell'albero, ad esso eran strette le funi,
e sedutisi battevano l'acqua canuta coi remi.
Ma appena distammo quanto basta per sentire chi grida,
benché noi corressimo, non sfuggi ad esse la nave veloce
che s'appressava e intonarono un limpido canto:
"Vieni, celebre Odisseo, grande gloria degli Achei,
e ferma la nave, perché di noi due possa udire la voce.
Nessuno mai è passato di qui con la nera nave
senza ascoltare dalla nostra bocca il suono di miele,
ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose.
Perché conosciamo le pene che nella Troade vasta
soffrirono Argivi e Troiani per volontà degli dei;
conosciamo quello che accade sulla terra ferace".
Così dissero, cantando con bella voce: e il mio cuore
voleva ascoltare e ordinai ai compagni di sciogliermi,
facendo segno cogli occhi: ma essi curvi remavano.
Subito Perimede ed Euriloco alzatisi
mi legarono e strinsero di più con le funi.
Ma quando le superarono e più non s'udiva
la voce delle Sirene né il loro canto,
subito i fedeli compagni la cera levarono
che gli spalmai sulle orecchie, e dalle funi mi sciolsero.
Quando lasciammo quell'isola, subito
io vidi un fumo e grandi marosi e udii un fragore.
»

Su un vaso stamnos attico a figure rosse, proveniente da Vulci nella provincia di Viterbo nel Nord Lazio, e datato tra il 480 e il 470 a.C., venduto dalla principessa di Canino, Alexandrine Bonaparte, all'antiquario e collezionista inglese James Millingen, che nel 1843 lo cedette al British Museum di Londra, è raffigurato l'episodio: la nave di Odisseo giunge tra le Sirene, spinta dai remi; sono visibili le teste dei compagni di Ulisse che remano rapidamente, mentre alla prua si trova il timoniere tra i due remi, i quali sono mossi da corde fissate alla murata della nave. Con la mano sinistra governa, mentre con la destra, tesa e con la bocca aperta, sembra incoraggiare i compagni. La parte anteriore dello scafo presenta un grande occhio di forma arcaica, occhi apotropaici, destinati a scacciare le forze avverse, siano esse naturali o soprannaturali. Odisseo è legato alla parte inferiore dell'albero, rivolto verso poppa, con le braccia dietro la schiena, legate ad esso. La sua testa è inclinata all'indietro, alto, in direzione delle Sirene, rappresentate come uccelli con testa di donna, le cui labbra sono socchiuse come se stessero cantando. Quella di sinistra batte le ali: sopra di essa è scritto “desiderio". Quella a destra rimane ferma con le ali ripiegate. Davanti a lei, una terza Sirena si lancia dall'orlo del dirupo, cadendo a capofitto con gli occhi chiusi, come se fosse già morta, momento che si collega al poema "Alessandra" di Licofrone, nel quale si narra della fine suicida delle Sirene, quando il loro canto veniva contrastato.

Ma cosa comunica questo episodio? Quali concetti sono nascosti in questa vicenda? Quale interpretazione dare a questo evento? Domande che letterati, scrittori e pensatori di ogni epoca si sono posti, cercando di cogliere i profondi significati dell'Odissea, uno dei testi fondamentali dell'Occidente.
Ad Ulisse, come a molti greci, la promessa di nuovi saperi deve essere sembrata irresistibile; infatti, le Sirene portano con il loro canto la conoscenza, la storia, la memoria. Conoscono tutto e possono offrire a chi le ascolta la comprensione del passato, sia esso virtuoso, doloroso o identitario. Essere greco significava impegnarsi in una continua ricerca del sapere; con i greci, l'interrogarsi, il domandarsi diventa un'esperienza esistenziale, la filosofia diventa un imperativo, e il chiedersi il perché, il come, il dove, diventano i luoghi stessi della tragedia umana, della propria testimonianza e della propria storia.
La conoscenza può essere pericolosa, e quando si collega alla memoria, al ricordo, ai patimenti e alle virtù passate, diventa un azzardo potenzialmente fatale.
Ulisse è disposto a rischiare pur di ascoltare nuovi racconti sulla sua eroicità e sulla guerra di Troia che lo rese eroe. L'impulso alla conoscenza è rischioso, e quando si combina con la musica, che indaga irrazionalmente l'essenza del soggetto nel suo contesto, diventa paralizzante, una scomparsa, una rovina.
Le Sirene desiderano narrare la sua storia, promettendo a Odisseo una memoria totale e integra, una mente liberata dai vincoli del passato e del futuro, e quindi in grado di trascendere il tempo. Una sorta di nostalgia autodistruttiva spinge i vecchi eroi a restare nel ricordo del loro passato glorioso e doloroso.
Le Sirene, attraverso le loro specifiche capacità, indeboliscono la volontà di vivere, poiché regalano solo la memoria passata, che si trasforma in oblio del presente. Omero, il grande narratore, ha catturato un aspetto dell'essenza dello spirito umano, che ha resistito nel tempo e che ci attrae, consciamente o subliminalmente, sempre verso un obiettivo più alto, oltre la nostra comprensione, che è il nostro fine. La memoria, in questa visione, può bloccare, arrestare e inibirci, danneggiando la nostra vitalità e la nostra vita.