Su questo affresco murale pompeiano proveniente dalla Villa di Publius Fannius Synistor a Boscoreale, è rappresentato Dioniso/Bacco con lo sguardo spalancato dall'estasi del rapimento, mentre brandisce il tirso, bastone rituale, sotto le viti dalle quali pendono grappoli d'uva, mentre versa del vino da un kantharos a una pantera, simbolo del potere del vino di domare la ferocia animale. Accanto a lui si trova un vecchio Sileno, dio della natura selvaggia, che suona una lira. La pittura murale, datata al 30 a.C., fa parte ora del British Museum di Londra, che l'ha acquistata nel 1899 dalle autorità italiane dell'epoca. Dioniso, divinità della follia rituale e della liberazione estatica dall'identità quotidiana attraverso il vino e l'intossicazione, incarna il concetto di trascendenza. I suoi seguaci si collegavano a lui e tra loro mediante rituali di coscienza alterata, attuati attraverso l'intossicazione, l'estasi e l'ebbrezza. Questo stato alterato, considerato necessario per evocare le emozioni primordiali, rappresentava il primo passo verso l'unione con la divinità, una sorta di frenesia emotiva e religiosa, simile a uno stato di trance, che originariamente comportava un'esperienza di autotrascendenza mistica.
Gli adepti di Dioniso, quali satiri, sileni, ninfe e menadi, sono spesso rappresentati in questa estasi nell’arte. I satiri e le baccanti sono raffigurati mentre danzano e bevono liberamente, di solito con sorrisi luminosi e occhi spalancati.
Tra i culti dell'antichità classica, l'adorazione di Dioniso emerge come uno dei più affascinanti, articolato attraverso feste agricole e cittadine in Grecia, Asia Minore e Magna Grecia, nonché con riti e i Baccanali, diffusi in tutto l'Impero Romano, basati sulle Dionisiache greche e sui riti dionisiaci, che si stima siano arrivati a Roma intorno al 200 a.C. mediante le colonie greche dell'Italia meridionale. Come tutti i culti misterici, i Baccanali erano tenuti con il massimo riserbo, e gli iniziati erano vincolati al segreto; le poche informazioni conosciute sul culto e sui suoi riti derivano dalla letteratura, dalle opere teatrali, dalla statuaria e dalle pitture greche e romane.
Dionisio è quasi sempre raffigurato con viti, uva, coppe e brocche, presumibilmente portando vino, che ha fatto lui stesso. Sileno, dio dei boschi, della natura selvaggia e della vinificazione, era suo compagno e tutore. Nella maggior parte dei miti riguardanti la sua origine, si dice che Dioniso abbia portato l'arte della vinificazione ai mortali. Ha viaggiato in tutta l'Eurasia, diffondendo la sua conoscenza a tutti coloro che lo avrebbero ascoltato.
Euripe nelle sue Le Baccanti descrive Dionisio:«Dioniso scoprì la bevanda liquida del grappolo d'uva e la presentò ai mortali, quella che fa cessare il patire agli uomini miserabili, quando sono sazi del ruscello della vite, e dà il sonno come l'oblio dei mali che accadono di giorno; né c'è altra cura contro l'angoscia». (Euripide, 279-83).
I suoi seguaci erano attratti da lui per la libertà che rappresentava: quella del corpo, raggiunta attraverso l'ebbrezza e l'estasi, e quella della mente, elevando le donne a ruoli di leadership nel suo culto. Mentre l'ebbrezza e l'estasi erano i primi mezzi fisici per entrare in contatto con Dioniso, per abbracciare completamente la divinità era necessario raggiungere un livello di trascendenza con lui. Nietzsche illustra questa esperienza nella Nascita della Tragedia: «Ora lo schiavo è un uomo libero, ora crollano tutti i confini rigidi e ostili che la necessità, l'arbitrio o la 'moda sfacciata' hanno stabilito tra gli uomini. Ora, nel vangelo dell'armonia universale, ogni uomo si sente non solo riunito, riconciliato e fuso con il suo prossimo, ma addirittura uno con esso, come se il velo di Maya fosse stato strappato e sventolasse ormai a brandelli davanti alla misteriosa unità originaria». (Nietzsche, Nascita della Tragedia V. III, T.1, p.1).