IL VASO DI COLCHESTER CON GLADIATORI E UN'ISCRIZIONE

Il vaso in terracotta, noto come di Colchester per il suo ritrovamento nel 1848 in una tomba presso West Lodge a Colchester, cittadina inglese, presenta raffigurazioni di scene di combattimento gladiatorio e di caccia. Il reperto, databile tra il 160 e il 200 d.C., è stato utilizzato come urna cineraria e testimonia un evento specifico avvenuto nella medesima cittadina. Attualmente, il vaso fa parte della collezione del Colchester Castle Museum. Colchester, antica Camulodunum romana, fu il primo importante insediamento romano nel territorio britannico, conquistato dall’imperatore Claudio, che nel 43 d.C. vi ricevette un'accoglienza trionfale e divenne così la capitale della provincia romana della Britannia.
Il vaso, certamente di produzione locale, raffigura diverse categorie di combattenti.
In una prima sezione, si osserva un secutor armato di gladio, pronto a colpire l'avversario, munito di uno scudo, lo scutum di grandi dimensioni, di un elmo liscio ovoidale con due fori ben visibili, di un gambale, lo schiniere, indicato come l'ocrea, e fronteggia un gladiatore di tipo reziario, con un galerus vistoso sulla spalla sinistra, mentre chiede la sua sottomissione dopo aver perso il tridente, la fuscina, visibile sotto il gladiatore secutor.

Il gesto compiuto con la mano è quello dell'apagoreuein greco, ovvero l'ad digitum romano, preso in prestito, come molte altre nozioni, dall'atletica greca: alzare il dito per dichiarare la propria sconfitta e sottomissione. Da un'altra angolazione del vaso si osserva la raffigurazione di due venatores in azione. Il venator era un cacciatore di animali che si esibiva negli anfiteatri; in questo caso, i due venatores sono raffigurati mentre cacciano una fiera.
Il venator sulla destra indossa una grande manica protettiva e brandisce una frusta, mentre l'altro impugna un gladio. Successivamente, si notano altre immagini di animali in fuga dalla caccia.
La breve iscrizione sul vaso, leggermente incisa al di sotto del bordo, è composta da quattro didascalie suddivise in due coppie di nomi: una coppia è SECVNDUS MARIO, collocata sopra la figura che porta la frusta e associata al combattimento tra i cacciatori e gli animali; l'altra è MEMNON SAC VIIII e VALENTINV LEGIONIS XXX, che indicano i gladiatori, rispettivamente il secutor e il retiarius.
L'iscrizione recita: "SECVNDUS MARIO // MEMNON SAC VIIII // VALENTINV LEGIONIS XXX", traducibile con: "Secundus Mario // Memnon, secutor, nove combattimenti // Valentinu della 30ª legione".

Questi singoli nomi in forma di cognome sollevano la questione se identifichino con precisione lo status dei combattenti, degli schiavi o dei peregrini, o siano nomi d'arte. La collocazione di Secundus e Mario sopra la testa di una singola figura trova la sua migliore spiegazione nella limitazione dell'iscrizione agli spazi del vaso privi di una linea di cornice superiore. Secundus è un nome comune, ma Mario è molto più raro; non è un nome celtico, bensì è attestato principalmente nel sud dell'Impero Romano. Secundus e Mario sono citati esclusivamente per nome, senza informazioni accessorie, come avveniva per i cacciatori, i venatores. Al contrario dei gladiatori, a cui si aggiungevano la storia dei combattimenti, l'affiliazione familiare o altre particolarità biografiche, per Memnon, il nome è attestato nelle iscrizioni latine in Italia, in Grecia e sul Danubio; vi sono riportati il suo ruolo di gladiatore SAC e il numero dei combattimenti. Per Valentinu, nome comune, si conosce la sua appartenenza alla Legio XXX Ulpia Victrix, stanziata a Xanten, l'antica Colonia Ulpia Traiana, in Germania, a partire dal 122 d.C.
Non sappiamo se Valentinu fosse un ex legionario che, per qualche motivo, fu degradato a schiavo, o se fosse di proprietà di una legione, poiché alcune legioni talvolta erano proprietarie di schiavi gladiatori, che venivano venduti nel tempo per rifornire le scuole delle province romane.