L’Ercole Farnese è una delle sculture più note dell’antichità. Dal momento della sua scoperta fino ai nostri giorni la sua fortuna non ha trovato sosta. Dal suo rinvenimento è stata fonte di ispirazione e studio per artisti, storici dell’arte, archeologi, ma anche immagine esemplare della forza e della potenza atletica per l’immaginario europeo. Nel corso dell’età contemporanea repliche, copie, riproduzioni di ogni tipo, hanno reso l’Ercole Farnese una icona dell'estetica capace di rispecchiare le trasformazioni del gusto estetico e di veicolare i nuovi significati che la statuaria antica assume nel mondo contemporaneo.
L’Ercole Farnese è una statua di marmo bianco alta 317 cm, esposta al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, datata tra la fine del II secolo e l'inizio del III secolo d.C., copia di un originale greco in bronzo, della seconda metà del IV secolo a.C., forse creato da Lisippo o dalla sua bottega, e riproduce una delle più famose edizioni del tema dell'Ercole in riposo, dopo il superamento delle famose prove poste dagli dèi.
L'eroe appare stanco e pensoso dopo l'ennesima fatica impostagli dal cugino Euristeo. I frutti che stringe nella mano destra, portata dietro la schiena, lasciano intendere che si tratta della conquista dei pomi nel giardino delle Esperidi. La scena del mito è suggerita dalla roccia. L'eroe vi ha deposto la clava e la leontea cioè la pelle del gigantesco leone di Nemea ucciso nella prima fatica. Sul basamento roccioso vi è incisa un’iscrizione in greco con la firma dello scultore: “ΓΛΥΚΩΝ ΑΘΗΝΑΙΟΣ ΕΠΟΙΕΙ”, Glycon athenaios epoiei, cioè il nome del copista Glicone ateniese.
La statua fu rinvenuta nel 1545 (anche se mancante della testa, rinvenuta e rintegrata nel 1563), all'interno delle Terme di Caracalla a Roma, più precisamente, secondo una testimonianza di Antonio da Sangallo, in un ambiente di passaggio tra il frigidarium (vasche con acqua fredda) e la palestra nord/occidentale. Fu ritrovata insieme ad una statua simile, di fattura meno pregevole, indicata come Ercole Latino, oggi alla Reggia di Caserta. Si è teorizzato che le due statue fossero parte di 12 grandi statue di Ercole, come 12 erano le sue fatiche, esposte all'interno delle Terme. Le statue diventarono proprietà del cardinale Alessandro Farnese ed entrarono a far parte della sua collezione. Entrambe le sculture furono collocate per volere di Michelangelo nel cortile di Palazzo Farnese, sotto le arcate del portico verso il giardino. L'Ercole in riposo in seguito trovò quindi posto nella sala d’Ercole sempre di Palazzo Farnese a Roma. Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese, entrò così in possesso della collezione ereditandola dalla madre. Nel 1787 tutte le opere di arte antica vennero trasferite presso la Reggia di Capodimonte a Napoli, poi presso il Palazzo del Real Museo ed infine l'Ercole in riposo venne spostato nel Museo Archeologico di Napoli dove si trova tutt’ora.
Delle opere lisippee che ritraggono il semidio, sicuramente l’Eracle a riposo è la più celebre, per via della fama che acquisì, in seguito al suo ritrovamento. L’assidua e costante presenza di Eracle nella statuaria di Lisippo si spiega con la frenetica ricerca di simmetria dello scultore.
Quella di Lisippo era la ricerca di una ritrattistica che esaltasse l’atletismo e l’adeguata proporzione geometrica dell’anatomia umana ma che al contempo riproducesse le intense implicazioni psicologiche ed emotive del soggetto raffigurato. Un eroe come Eracle, descritto dalle fonti letterarie come un semidio dalla muscolatura solida e possente, ma al contempo psicologicamente combattuto, si prestava benissimo ai fini dell’arte di Lisippo.
In quest’opera, Lisippo sceglie di raffigurare Eracle in un momento di pausa: ciò gli consente di creare un’opera totalmente nuova, in cui lo studio della muscolatura possente sembra passare in secondo piano rispetto all’espressione del momento psicologico, così delicato, intenso e umano.
La figura, nel suo complesso, è perfettamente proporzionata tra le diverse parti del corpo, compresa la testa, composta da capelli definiti da ciocche corte e una fitta barba, che risulta pienamente congruente alla struttura del corpo. Nello schema compositivo dell’Eracle è netta la contrapposizione tra il lato sinistro, rilassato, e quello destro, sotto sforzo, con una tensione focalizzata nella stretta della mano destra. La clava poggiante sulla roccia risulta necessaria e funzionale alla statica e all’equilibrio della scultura, rivestendo la funzione di utile sostegno allo sbilanciamento a sinistra della figura, sebbene questa prevedi la gamba destra come portante.
La scultura rievoca, quindi, la fase finale delle dodekathlon (le 12 imprese), mostrando l’eroe colto in un momento di riposo dopo aver completato la sua undicesima fatica: essere riuscito ad impadronirsi dei pomi d’oro dal giardino delle Esperidi. A queste ninfe, figlie del titano Atlante, e al serpente Ladone, era stato dato il compito di sorvegliare l’albero dai frutti d’oro che Gaia aveva donato ad Hera per le sue nozze, nella terra degli Iperborei.
Per impadronirsi dei pomi Eracle chiese aiuto ad Atlante, che si offrì di raccogliere per lui i frutti se avesse sorretto la volta celeste al suo posto. Eracle acconsentì ed Atlante ritornò con i pomi, ma liberatosi dal peso della condanna inflittagli da Zeus, non tenne fede all’accordo e, solo attraverso un sotterfugio, l’eroe riuscì a riportare Atlante al proprio posto. Se si osserva attentamente il volto dell’eroe, che oltre a mostrare stanchezza tradisce anche un sentimento di malinconia, e l’atteggiamento del corpo, si nota un nesso con la dodicesima ed ultima fatica. Nella figura convive, infatti, un senso di riposo per la fatica conclusa, ma anche la consapevolezza che le imprese non sono terminate, rappresentata dalla gamba sinistra atteggiata al movimento del passo, allusione all’avvicinarsi delle porte dell’Ade, dove Eracle dovrà catturare vivo il cane a tre teste Cerbero, guardiano degli inferi. Le dodici fatiche hanno da sempre rappresentato lo scontro tra l’uomo e la natura, espressione della divinità, nella sua forma più selvaggia e terribile: Eracle è considerato simbolo di coraggio, rigore morale, della forza accompagnata all’astuzia, dell’attività fisica (secondo la tradizione fondatore dei Giochi Olimpici) e figura salvifica e di riscatto dell’umanità dalla crudeltà divina. L’affascinante figura dell’eroe greco ebbe grande venerazione nell’antichità, tanto da essere replicata a più riprese dai più grandi artisti su qualsiasi supporto e attraverso le più disparate iconografie. La scultura in esame è indubbiamente una delle migliori copie di un tipo statuario molto apprezzato nel mondo antico: quello dell’eroe colto nel momento di riposo e riflessione, del tutto umano e naturale, e non in quello di massima espressione della forza.